Qui non
c'� nulla da spiegare, descrivere, filtrare; tutto appare estremamente
chiaro, visibile, comprensibile: eppure proprio da questa iniziale,
quasi elementare, semplicit� occorre prendere le mosse per un viaggio
che ci consenta di vedere �dentro� la pittura di Pietro la Barbiera, un
artista nato a Messina nel 1944 e poi, come tante volte accade,
costretto a divenir �lombardo�, la sua attivit� svolgendo, fin dal 1971
a Cesano Maderno dove ha portato con se le sue illusioni, le sue
speranze, il suo destino di pittore e la memoria di luoghi ormai lontani
che, proprio per esser tali, diventano �memoria� di un tempo che profuma
di insulare giovent�.
Da quella semplicit�, dicevo, bisogna partire per superare subito ci�
che appartiene al puramente visibile e cos� addentrarsi in ci� che �
visibile con �gli occhi della mente�, scoprire cio� quei piccoli e
grandi fatti che dentro la pittura si annidano e che poi diventano,
nonch� spunti di riflessione e di conoscenza, elementi che danno un
particolare spessore proprio alla percezione visiva.
La semplicit� � data dagli oggetti, dal �paesaggio� subito visibile:
oggetti che sono pietre, ciottoli di spiaggia che il mare ha rotolato
per millenni in secolari carezze, si che pur le intuibili spigolosit�
appaiono levigate, come arrotondate dall'acqua e dal tempo; paesaggi che
sono di pietre, un vero e proprio mare di pietre, avvolto in una
immobilit� anch'essa petrosa, ogni singolo oggetto essendo li posto per
non esser mai spostato.
Un �pittore della realt� potrebbe quindi dirsi Labar, perch� cos� si
firma l'artista messinese, inserendo quasi un'epigrafe antica in una
piccola zona del quadro; un pittore del reale perch� assolutamente reali
sono i suoi paesaggi e le sue pietre: eppure non potrebbe certo dirsi un
�pittore realista� perch� in lui
non c'� mai cedimento descrittivo, la sua pittura altrove alimentandosi
e traendo spunti proprio dal particolare atteggiamento del soggetto di
fronte all'aspetto oggettivo delle cose e dal particolare tipo di
linguaggio adoperato.
In questa cosciente e consapevole �ricreazione� naturalistica l'artista
messinese, che nel 1970 ha vinto la �Tavolozza d'oro�, assegnatagli al
Fondaco da una commissione di cui facevano parte, tra gli altri,
Salvatore Pugliatti, Giuseppe Miligi, Giuseppe Vanadia, Salvatore Di
Giacomo e Antonio Saitta, mostra intanto un grande possesso dei due
elementari strumenti del �far pittura�, e cio� l'impianto grafico che
Labar affina sempre pi� dedicandosi, ormai da dieci anni, alle tecniche
incisorie e il colore che. qui viene utilizzato in una scala cromatica
ridotta, delicata e raffinata facendosi ricorso ad azzurri, a rosati,
bruni grigi, viola, con il gusto di impalpabili trasparenze, di pure
rifrazioni che appartengono si all'oggetto e dunque alla natura, ma
soprattutto appartengono alla pittura.
E mostra anche Labar una sapiente strutturazione del quadro con quella
disposizione degli oggetti che suscita il senso di una scansione ritmica
e che si riallaccia a certa pittura orientale, estremamente nitida,
utilizzata in forma di scrittura: proprio alla forma della scrittura, di
un particolare racconto per immagini, fa pensare l'ostinata e puntuale
iterazione dell'oggetto non gi� per il risultato cui approda (il mare di
pietre) ma in se considerata. E' una impaginazione questa che dipende, a
mio parere, da una �intelligente casualit�, questi sassi essendo
collocati in un razionale disordine che � strumentale certo alla
costruzione dell'immagine voluta, ma da esso derivando anche un
particolare taglio della scena che non permette dispersioni allo sguardo
del fruitore, ma che la sua attenzione in tutto reclama per scorgere, in
questo uniforme deserto, non solo i singoli ciottoli, che cos� sembrano
uscire fuori dal gruppo, dal coro, per far sentire la propria distinta
�voce�, ma anche i residui di insolite presenze offerte da delicate
conchiglie, dalle bellissime venature, da ciuffi irti di verdi alghe
appuntite, da lacerati pezzi di legno.
Il tutto viene presentato sulla tela con un perfezionismo tecnico che fa
pensare alla maniera iperrealistica: si supera, per questa via, quello
che potrebbe essere un impianto �realistico� o di �Nuova figurazione� e
vien da chiedersi da dove parta questa ostinata precisione e soprattutto
dove conduca. Non parte dalla descrizione della realt�, n� dalla
invenzione di immagini riconquistate, ma piuttosto da una umanissima
attenzione a quella che � la vita degli oggetti, qui le pietre che
moltiplicandosi diventano deserti e spiagge.
Emerge a questo punto il singolare atteggiamento dell'artista di fronte
alle cose e non si capisce se � il particolare che lo attrae o
l'immensit� che lo affascini, dato che Labar a volte guarda lontano e a
volte, invece, china lo sguardo per scoprire quei piccoli e semplici
oggetti che chiunque, volendo, pu� scorgere lungo un litorale, in quella
privilegiata zona dove l'acqua si unisce alla terra, perdendosi ciascuna
a poco a poco e ciascuna, l'acqua e la terra, assumendo un aspetto
diverso.
E' come se l'artista volesse riscattare questi oggetti e questi paesaggi
da un oscuro anonimato cui sono condannati, come se, portandoli sulla
tela, liberandoli cio� dal loro contesto naturale, cercasse di dar loro
una diversa esistenza, una diversa dignit� ed un diverso significato.
Quale esistenza, quale significato se non quelli che proprio
dall'artista provengono? Ecco che il paesaggio naturale, espresso in
termini iperrealisti, comincia a staccarsi dal reale e dall'iperreale
per offrirsi l'oggetto come impregnato del soggetto.
E' qui, nella mente e nell'anima dell'artista che vivono queste pietre,
e vivono come invito a considerare la natura delle cose in modo diverso
da quella che di solito (non) guardiamo con occhio distratto, travolti
dalla nostra superficialit�; vivono, cio�, con la gioia della scoperta
di un loro aspetto nuovo, colpito dalla trascrizione emotiva
dell'artista. Vivono immersi in un estremo bisogno di ordine e di
pulizia, in un reclamare una spiritualit� che pur li si annida, fra
quelle fredde e solitarie piede. Vivono in una dolente solitudine che
sembra sgomentare, ma che non riesce, tuttavia, a soffocare e far tacere
quella richiesta di non solitudine che preme dentro l'artista e per cui
noi ora scopriamo che il deserto di pietre � di pietre popolato.
Vivono, insomma, nella fantasia e nella memoria dell'artista e si
nutrono di un dolcissimo richiamo al tempo dell'infanzia, di una visione
mediterranea del mondo, affascinata dalla luce; di una fantasia che si
esprime nella sublimazione della realt� vista in maniera da dare valore
suggestivo ai suoi dettagli scoperti ed analizzati con acutezza; di una
memoria silenziosa del mondo che capta le nostre stesse individuali
memorie per farne appunto un'ombra, un ciottolo, una pietra.
La nitidezza di queste immagini, dunque, come � stato giustamente notato
da Franco Passoni, non nasce dalle tecniche fotografiche ma �
direttamente collegata appunto alla memoria, alla fantasia,
all'immaginazione e all'inconscio dell'artista, si che questi paesaggi
finiscono con il diventare appunto �paesaggi della memoria�, paesaggi di
sensazioni.
Si sgretola tosi, o meglio si chiarisce, l'impianto iperrealista si che
potrebbe parlarsi di un �iperrealismo poetico� dato che � evidente il
desiderio di una pittura che non rinuncia alla fantasia, di una pittura
realista che sconfina nel fantastico, e che, per quanto possa dar
l'impressione di una fedelt� fotografica, affonda nella memoria.
Ed allora con occhi diversi bisogna accostarsi alle pietre e guardare i
quadri che al di l� del paesaggio creano un proprio �ambiente� di spazi
silenziosi e misteriosi, nel quale immergersi e farsi coinvolgere.
Con un necessario �acconsentimento, � possibile allora notare il grande
senso di lontananza che emerge da questa pittura analitica; � possibile
scorgere nella apparentemente fredda perfezione qualcosa di insolito che
confina con lo strano e che maggiormente si avverte quando l'artista
passa dallo sguardo di insieme al particolare, si da scorgere nel
minuzioso naturalismo (la venatura della pietra, l'ombra, la rifrangenza
della luce sulla superficie) una profonda attenzione verso ritmi che non
pi� alla pietra appartengono, ma proprio all'anima.
E' possibile ancora vedere in questa pittura oggettiva il filo sottile
di una immaginazione che inserisce un soffio di vita nelle cose
inanimate e che stravolge il tempo e lo spazio riuscendo a rievocare
rovine dell'evo antico, future albe da fantascienza, pianeti lontani di
altri universi,. superando tosi i limiti di una dimensione umana, i
limiti effimeri di ci� che � il nostro tempo ed il nostro spazio, i
limiti della stessa percezione tridimensionale, per offrirci una natura
fuori dal tempo. Cos� il mare di pietre si trasforma in singole
presenze, in singoli racconti, ed in questo deserto vediamo aggirarsi
l'artista per interrogare le cose e gli oggetti e ad essi chiedere una
risposta ad un vuoto interiore dell'uomo. Ecco, l'uomo costantemente
estraniato da questa pittura che a volte dilaga in profondissime
prospettive o si appunta su ravvicinati scorci; l'uomo, dicevo, appare
tuttavia �presente� nella costante e puntigliosa osservazione della
natura si che proprio nelle pietre trova la sua espressione, al di l� di
un dialogo tentato e, forse, fallito.
Il deserto, allora, cosl divenuto, ora possiamo dirlo, �umano�, ci
appare come eliottiana �terra desolata�, espressione consapevole del
disorientamento di una epoca, di un mondo privo di significato che si �
inaridito al crollo dei valori non essendo stato capace di offrire nuove
certezze: un mondo di �pietre viventi�, di aridit� e di desolazione. Ma
insieme al silenzio ed alla solitudine, in questa ostinata ricerca del
particolare, del senso minuto delle cose, di quel quotidiano di cui si
intesse la presente vita, si avverte anche un senso di speranza, un
bisogno di pulizia; si respira l'aria di una attesa, certa nel suo
avverarsi; una spiritualit� beokettiana dal sapore diffuso e dal gusto
consolatorio.
Quanto siamo ora lontani dal reale e dall'iperreale e quanto, piuttosto,
la pittura di Labar ci avvicina cosi al surreale e al metafisico. E Sono
proprio queste le valenze che si annidano nella sua pittura; valenze che
richiamano alla mente le atmosfere di straniamento e di mistero di un
Magritte, che ci rivelano una nuova possibile esistenza del reale,
quella esistenza poetica delle cose che la nostra cecit� non ci consente
di scoprire.
Il silenzio cos� vien rotto dalle singole voci di queste pietre che
raccontano la loro umanissima storia; tosi come la solitudine, immersa
in uno spazio metafisico, si frantuma e le singole pietre, non pi� l'una
all'altra mute e indifferenti, sembrano farsi compagnia; il paesaggio
desolato diventa un unico, umanissimo, abbraccio,
Ora si, soltanto ora, che �dentro, la pittura di Labar si � pervenuti,
non c'� nulla da spiegare, descrivere, filtrare: tutto appare, infine,
estremamente chiaro, visibile, comprensibile.
Lucio
Barbera
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