Labar e le sue armonie taciturne ed elementari

Rami sommersi, sassi liberi o incartati, spiagge dopo la mareggiata, radici, rami sommersi, muri antichi (di sassi): ecco alcuni fra i protagonisti delle composizioni di Pietro La Barbiera Labar, artista messinese-lombardo fra i pi� interessanti della sua generazione.
Dal '69 ad oggi la bibliografia � gi� vastissima e comprende molte testate quotidiane e periodiche fra le pi� prestigiose, sia in Italia che all'estero (segnatamente in Germania). Molti sono i colleghi critici che si sono occupati di lui: citer�, fra i tanti, anche perch� autori di note acute e stimolanti, Marcello Venturoli, Franco Passoni, Jean Christian e Dino Villani.
Dunque, un artista che ha gi� compiuto un iter importante dal punto di vista estetico e che si accinge ora a sottolinearne le singolarit� ispirative e le concrete specificit�. Comincerei con l'azzardare una definizione (anche se sono solitamente contrario alle incasellature) dell'arte di Labar: mi parrebbe cio� di includere queste opere, quelle dell'ultimo periodo in particolare, nell'ambito di un modulo che si rif� ad un certo surrealismo (postmagrittiano) preminentemente naturalistico, escludendo quindi ogni riferimento al vero e proprio iperrealismo (ch'� tutt'altra cosa) anche l� dove c'� volont� di recupero di una realt� - dice Mario Pepe - �che abbia valore assoluto, nell'aspirazione ad una illusiva coincidenza dell'immagine rappresentata con l'oggetto�.
Labar si colloca dunque in un ambito modulare inedito proprio perch� si mostra costruttore di nuove consistenze spaziali, di nuovi valori compositivi, di dimensioni visive gi� lontane da ogni �regola permanente� e da ogni rigida prescrizione metodologica. Ad esempio il nostro artista assegna agli spazi - e lo fa con una tensione senza esempi, ch'io sappia - la funzione di contenitore spirituale mentre gli oggetti diventano strumento immediato ed effettivo per la compiutezza compositiva. Cio� le cosiddette �apparenze esteriori� sono da lui non soltanto negate ma completamente sostituite con meccanismi �rappresentativi� davvero rivoluzionari, l� dove soprattutto intervengono luci eccezionalmente insolite (e �interiori�) e un'armonia del tutto nuova, sia sul piano grafico-cromatico che su quello lirico.
Esaminando alcune opere ci si render� conto che il modulo � davvero inedito oltre che ricco di suggestioni che avevamo da tempo dimenticate o addirittura che consideravamo puramente supposte: ad esempio in �Il sasso incartato� c'� un intervento eccezionale della sfera intellettiva, un pi� sofisficato elemento immaginativo (quel pezzo di carta � talmente evidenziato da assumere una funzione centrale, determinante nell'ambito della narrazione complessiva).
Mi sembra poi di dover rilevare, qui e altrove, che le striature delle pietre rappresentano l'anima ritmica, la pelle grafica, delle stesse, i disegni originari e originali della natura, il sistema arterioso esterno-interno che viene esposto nella sua integrit� e nella sua �funzione� cromatica basilare.
Molte potrebbero essere le considerazioni da fare attorno ad un'opera come �Dopo la mareggiata�; si sente anzitutto che siamo di fronte ad un'immobilit� da poco dominante: prima c'era stato, mi sembra, un flusso del mare incessante che ha reso nitido il tutto, ed anche levigato e illuminato; ora c'� un evidente lindo ordine per cui ogni variazione strutturale e cromatica delle pietre si legge (tutto cio� � diventato pi� chiaro, pi� vicino, pi� vero). E la luce che si � posata su quel lembo di spiaggia � nuova, anch'essa vicina, rassicurante: vien voglia di toccare, giocare con quelle cose cos� bene assemblate.
E un gioco per� �spirituale�, si badi bene: la natura in quel punto e in quei momenti � bela, ancora pi� armoniosa, ordinata e disponibile.
Il colore poi � anch'esso figlio della limpidezza e della pulizia delle pietre, dei sassolini e delle piccole conchiglie.
Un discorso a parte merita quello della desolazione che avvolgerebbe queste interessanti e profonde analisi pittoriche: si tratta per�, a nostro avviso, di una desolazione goduta (altre che e pi� che intellettualmente perseguita con accanimento), vera, constatabile, naturalmente se si adopera il terzo occhio.
Una desolazione, quella di Labar, disarmata ma anche seducente, sempre ricca di sensazioni verificabili e sostanziali, sempre filiata da un amore viscerale per quelle (e altre) porzioni di natura �naturante�.
E il grande silenzio? � l�, tangibile, vivificato sia dalla particolare luce sia dall'evidenza delle forme: un silenzio animato tuttavia, ritmato, vigorosamente vitale; un silenzio che discende direttamente dai recessi pi� esclusivi della memoria, che invade la sfera delle sensazioni prime, che si insedia nello spazio dell'immaginazione non come condizione intellettiva subordinata ma anzi come mezzo per rivelare entit� visive e atmosfere assolutamente primarie.
Un silenzio ritmato dicevo, anche perch� Labar mette in movimento l'intero apparato dinamico dell'animo, fra armonie taciturne ed elementari ed entit� spaziali pulsanti (oltre che depurate d'ogni scoria).
Dunque Labar ci conduce per mano, risolutamente quanto affettuosamente, all'interno di una �realt� nobilitata e ricca di suggestioni, di una realt� cio� produttrice di meraviglie �prime�, di stupori immediati, di momenti poetici ardui, elevati e fondamentali.

FERRUCCIO BATTOLINI